Editoriale, di Ilario Capanna – Sapeste quanto è bello poter dire: prima o poi, accadrà! E proprio ieri è accaduto. Gli italiani si stanno lentamente destando dal lungo letargo della ragione e si allontanano, a tratti con disgusto, da quella grande illusione che li ha coattamente cullati negli ultimi lustri. I segnali provenienti da questa sorta di rivoluzione della coscienza collettiva, che in un gesto disperato allunga le braccia alla ricerca della consapevolezza, è forse il sintomo che l’italico genere umano è ormai stanco del superfluo offerto a tutti i costi come necessità. Mai come in questi ultimi anni si è allargato il divario tra i cittadini del mondo reale, costretti a fare i conti con i problemi ed i ritmi del quotidiano e i cittadini della fiction, vale a dire quella casta di figli di, o parenti di, ma soprattutto di amanti di, che ha prodotto la deriva sociale e morale che in questi mesi viene vissuta come un irrefrenabile rigurgito da sputare il più lontano possibile. Per carità, non è che prima si navigasse nell’oro di una moralità specchiata e cristallina, ma almeno la decenza era garantita da una sorta di patto tra gentlemen. Un moral deal che serviva quanto meno da contrappeso. Purtroppo, con la nuova legge elettorale, si è passati da una forma tutto sommato digeribile, che ha consentito una stabilità durata più di mezzo secolo, alla mignottocrazia di fatto. E si sa: quanto il pelo entra nelle stanze del potere, il potere perde la testa e il pelo finisce per dettare l’agenda del potere. Insomma: l’Italia è diventata un bordello! Per puro istinto di sopravvivenza la casta della politica ha deciso di tagliare il cordone ombelicale che teneva con il popolo sovrano, si fa per dire, arrivando a nominare deputati e senatori i portaborse, le amanti, i compari e i comparielli, i soci in affari, i propri avvocati e chi più ne ha più ne metta. Ma con la crisi economica che ha massacrato la classe media, una moneta, l’euro, che a causa dello scellerato cambio ha fatto letteralmente raddoppiare il costo della vita, il lavoro, visto sempre più come un sogno da realizzare attraverso una scorciatoia e non come una diretta conseguenza dello studio e dell’impegno profuso, hanno fatto si che gli abusi e le quotidiane ingiustizie compiute a danno dei cittadini trovassero nella casta dei nominati la summa di tutte le nefandezze e di tutte le porcherie possibile ed immaginabili. Per dirla tutta: gli italiani ne hanno le scatole piene e l’insofferenza inizia ad essere quasi una ribellione. L’idea che qualche fortunato-a possa ottenere con facilità e spregiudicatezza ciò che altri si affannano a cercare senza successo, pur avendone i requisiti e le capacità, ha contribuito a creare una generazione di frustrati e rassegnati al moto perpetuo della mignottocrazia, decisamente peggiore finanche del più becero clientelismo vetero democristiano in voga fino a qualche anno fa. Eppure qualcosa di epocale sta già accadendo e i segnali che i media registrano sono inequivocabili. Forse è vero che per assaporare il piacere autentico della vita bisogna venire da una condizione di privazione. Oggi però il problema sta nel fatto che quando questa privazione si chiama democrazia significa che il nemico è molto più forte di quanto si immagini. Ieri sera ho avuto il piacere di ascoltare una trasmissione che ha messo l’individuo reale del 2010 sotto i riflettori, fatto che non accadeva da diverso tempo in televisione. La scelta, come una sorta di duello a colpi di telecomando, era tra il Grande Fratello e Vieni via con me. Non ho avuto dubbi. Ho preferito di gran lunga concentrarmi sul secondo, pur nutrendo qualche remora nei confronti di chi ha fatto della militanza antimafia di professione una sorta di salvacondotto globale. Del programma di Fazio e Saviano mi ha colpito favorevolmente la volontà di rimettere l’uomo reale al centro dell’attenzione. Come dicevo sopra, come una sorta di risveglio delle coscienze, i due hanno iniziato a parlare di cose concrete, di problemi reali, di ambizioni e di sogni realizzabili, ma in maniera convincente e slegata dai cliché politici che normalmente detesto e mi spingono a cambiare canale. Questa è la frase che mi ha colpito particolarmente: "Non siamo nel fascismo, ma la macchina del fango fa sì che la democrazia sia in pericolo. È la macchina che scatta se ti metti contro questo governo. Fa sì che prima di scrivere o criticare, ti venga in mente che domani ti attaccheranno sul privato, e allora magari non scrivi più. La macchina del fango - ha proseguito - interviene per far sembrare che siamo tutti uguali" e invece "dobbiamo sottolineare le differenze".
L’autore di Gomorra ha poi citato un altro esempio: "la storia della casa di Montecarlo di Fini, che è stato intimidito, poi la vicenda di Boffo, direttore cattolico che inizia a criticare il Governo da un giornale cattolico come Avvenire. E la macchina del fango lo mostra come una specie di criminale perché omosessuale: impensabile, incredibile". Poi Saviano torna in Campania e parla della "presunta omosessualità di Caldoro" diventata "l'arma usata da un suo collega di partito, Nicola Cosentino da Casal di Principe". Infine rivolgendosi direttamente ai giovani lo scrittore ha citato il più eroico degli esempi: " Giovanni Falcone, una persona che è riuscita a resistere a una macchina del fango gigantesca". E come se non bastasse Saviano ci ha pensato poi Claudio Abbado a far capire come stanno realmente le cose in Italia, quando ha chiesto di smetterla con i tagli alla cultura, mentre sullo sfondo dello studio si stagliavano crude e reali le immagini del crollo della domus dei gladiatori a Pompei. Mi sono piaciuti anche i motivi elencati da Abbado per cui vale la pena difendere la cultura. "La cultura arricchisce sempre. E’ contro la volgarità e permette di distinguere tra bene e male. E’ lo strumento per giudicare chi ci governa. La cultura è libertà, di espressione e di parola. La cultura salva: sono stati la musica e i miei figli che mi hanno aiutato a guarire dalla malattia: l’affetto, l’amore dei miei figli, nipoti, di tutta la famiglia mi ha aiutato moralmente come non mi sarei aspettato. Io credevo che fosse finita, invece sono ritornato a vivere". Parole che hanno suscitato in me un’emozione fortissima."Con la cultura si sconfigge il disagio sociale delle persone, perché è riscatto dalla povertà". Cultura è far sì che i nostri figli possano andare un giorno a teatro per poter vivere la magia della musica". Ma soprattutto "la cultura è un bene comune e primario, come l’acqua" ed è "come la vita, e la vita è bella’’, ha concluso Abbado. Credo che chiunque, leggendo e rileggendo queste parole, provi un sentimento di riscossa, alimenti un desiderio di normalità, di famiglia basata sui sentimenti veri, di merito di sacrificio e di armonia. Me lo auguro soprattutto per la mia città. Sono convinto che a Sparanise ci siano enormi potenzialità che vengono tenute purtroppo inespresse da alcuni blocchi di sottocultura che da anni tengono in ostaggio la voglia di costruire, con senso della responsabilità, decine di giovani, solo per garantirsi, a volte per puro spirito di autoconservazione o magari per colmare una desolante solitudine, il proprio ruolo nella società. La rivoluzione silenziosa è già in atto: ora tocca a chi ha in mano le redini del potere capire come interpretarla nel migliore dei modi e trasformarla in benessere. Ma su un punto bisogna essere fermi: senza cultura saremo sempre tutti più poveri.
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