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Mauritius, il paradiso in terra è sul tropico del capricorno

Clima sempre gradevole ed insuperabile convivialità creola
27/9/2010 20:38

Caserta, di Ilario Capanna – Ci sono certi luoghi sul nostro pianeta che almeno una volta nella vita bisogna assolutamente visitare. Poco importa se per farlo è obbligatorio sorbirsi quasi 11 ore di volo ininterrotto. Del resto il sacrificio è ben ripagato e in fondo neanche cosi massacrante, se paragonato ai mesi di navigazione impiegati da Charles Baudelaire, Joseph Conrad, Mark Twain e Bernardin de Saint-Pierre, giusto per citare qualche illustre ospite sbarcato, più o meno volontariamente, nell’allora Ile de France sospinto solo dal vento. Dall’alto del finestrino del volo Meridiana Eurofly è facile comprendere perché “Si ha l'impressione che sia stata creata prima Mauritius e poi il paradiso, e che il paradiso sia stato copiato da Mauritius", come scrisse Mark Twain sul suo diario di viaggio “Following the Equator”. Una volta a terra, ci si sente subito immersi in quell’atmosfera speciale che avvolge le isole dell’oceano indiano. Quella leggerezza tipica e senza tempo che ormai nella vecchia Europa non si percepisce più, ma che sul tropico del Capricorno fluttua nell’area come un aerosol inebriante e diventa subito parte integrante del tempo che scorre a ritmi decisamente più gradevoli. Sbrigati gli adempimenti per il visto di ingresso ci dirigiamo verso l’uscita dove ad accoglierci troviamo la cortesia dello staff Valtur. Il transfer per il resort Le Flamboyant è personalizzato e la chiacchiere scambiate in francese con l’autista sono il primo contatto reale con il sempre affascinante popolo creolo, autentica tavolozza animata di colori e forme viventi naturalmente dotate di un sex appeal esotico ed irresistibile. Una volta raggiunta la destinazione, l’accoglienza è subito calorosa, grazie al resort manager Paolo Gaia, autentico bucaniere in stile terzo millennio, unitamente allo staff al completo, che ci danno il benvenuto con la rituale coreografia. Pochi secondi per ritirare la chiave, che poi è una card multifunzione, ed ecco che un rigoglioso giardino, prossimo all’esplosione della fioritura primaverile mauriziana, ci intenerisce il cuore e ci predispone alla meraviglia della camera con vista sul reef dell’oceano indiano. Una scala di colori unica ci lascia senza fiato e sempre più concordi con le considerazioni di Mark Twain. Mauritius è veramente un paradiso. Da quel colpo d’occhio che si intrufola sinuoso direttamente nell’anima di noi modesti viaggiatori figli del vetero moderno e ormai frustrato occidente, ha inizio la scoperta di una terra e di un popolo unici al mondo sotto tutti i punti di vista. Nei giorni a seguire, grazie alle dritte del bucaniere Gaia, godiamo appieno degli agi e delle comodità, ma soprattutto delle prelibatezze gastronomiche, che questo delizioso angolo d’Italia in stile creolo offre agli ardimentosi amanti dell’esotico, ben consci che presto l’isola si sarebbe spalancata a noi come un fiore di loto. Dopo aver caricato le pile e con la complicità del clima, decidiamo, quindi, di far partire il tour andando verso sud, che raggiungiamo comodamente grazie all’efficiente servizio di taxi offerto da una armoniosa cooperativa locale. Per la gioia dei bambini, la prima destinazione non può che essere il Casela Park, dove sperimentiamo il safari in pure stile africano toccando da vicino leoni, ghepardi, scimmie e tartarughe giganti, circondati da una vegetazione in tema. Risultato: buona la prima. Qualche giorno di relax tra un bagno nelle acque cristalline e lunghissime passeggiate con i piedi a sfiorare la sabbia bianchissima e farinosa, e via per la seconda uscita che ci vede protagonisti nel tour della parte nord dell’isola. Prima tappa Port Luois, la capitale di questa giovane Repubblica del Commonwealth, indipendente dal Regno Unito dal 1968. Ci accorgiamo subito che l’apparente caos altro non è che il prodotto del mix interculturale e religioso che regna nell’isola all’insegna dell’armonia e del rispetto. A Mauritius convivono ben 4 diverse religioni principali: indù, cattolica, musulmana e cinese e tanto per non creare equivoci la bandiera nazionale è ispirata proprio ai colori tradizionali delle religioni. La visita del porto e dell’antico mercato ortofrutticolo meritano l’escursione anche se la città, con quasi 150 mila abitanti, è più prossima ad un lifestyle indo-europeo che africano. Del resto le impronte urbanistiche ed architettoniche coloniali francesi, olandesi e inglesi hanno lasciato decisamente il segno. Da Port Louis puntiamo verso nord in direzione Grand Baie, ma lungo la strada è d’obbligo una visita ai giardini di Pamplemousses, autentico gioiello, risultato dell’amore dell’uomo per il verde e le forme di vita ad esso connesse. Il posto è veramente incantevole e ben tenuto. Appena dentro, decidiamo di affidarci ad una guida, che riconosciamo grazie ad un video presente su You Tube. Il tipo, in un italiano approssimativo ma comprensibile, in perfetto phisique du role, spiega, racconta aneddoti, fa annusare i profumi delle foglie di eucalipto come un sapiente sommelier, e consiglia gli spot più carini per immortalare la visita. Interessante poi la visita all’interno della grande casa in stile coloniale che ospita una mostra fotografica del primo Primo Ministro Seewoosagur Ramgoolam, padre della giovane patria Mauriziana. Seguendo i pannelli è facile capire su quali nobili valori si fondi la giovane Repubblica, oggi capace di uno dei Pil più alti dell’intero continente africano. Una volta fuori, partendo dal grande fiore di loto, si ha l’impressione di ripercorrere i viali della storia attraverso le pietre che testimoniano la visita dei grandi capi di Stato come Nelson Mandela, Francois Mitterand, Indira Gandhi e tanti altri.
Lasciata l’oasi verde di Pamplemousses puntiamo a nord, in direzione Grand Baie. La morfologia del territorio cambia ancora cosi come mutano gli stili architettonici delle case. Giunti a destinazione capiamo subito che siamo di fronte ad un anfratto calmo ed incantevole, ben riparato e lontano dagli alisei che ad est sono quasi sempre costanti. Con il taxista che approfitta per rifocillarsi al chioschetto dal quale si diffonde nell’aria un gradevole profumo di spezie, decidiamo di sederci ad un bistrot e sorseggiare una bevanda fresca. La curiosità unita ad una sana deformazione personale, mi portano ad attaccar bottone con il titolare della baracca, un francese sulla sessantina, biondo, con dei baffi in stile Oberix e una panza rotonda tipica di chi si gode i sapori della vita. Come ogni buon francese, il tipo, forse complice la mia dimestichezza con la sua madrelingua, si dimostra cortese ed ospitale. La solita raffica di domande accompagna con brio la prima parte della chiacchierata fino a quando riesco ad estorcergli una confessione. Quella confessione che inizia sempre con l’interrogativo must: perché sei qui ? Gli chiedo con tono quasi confidenziale, come a sperare di ascoltare quella risposta che in fondo in fondo sapevo già di poter ricevere. In realtà è l’isola che ha scelto me, esclama con aria soddisfatta Obelix. Quando sei lontano dalla Normandia, il posto in cui sei nato ed hai vissuto, ma senti che non ti manca, vuol dire che forse non era quello il posto in cui eri destinato a vivere il resto della tua vita. Un bel giorno ho deciso di dare una svolta alla mia esistenza ed eccomi qua. Come sto? Mi chiede lui sapendo di ricevere una risposta scontata. Sto benissimo. Sono rinato. “Regarde-moi” ed esplode in una risata che riecheggia per tutto il locale. “Regarde-moi”, ripete allontanandosi dopo avermi dato una pacca sulla spalla e accarezzato i capelli di mio figlio, intento a bere una gustosa coca-cola attraverso una cannuccia più grande di lui. La chiacchierata con il francese mi scatena una profonda riflessione che preferisco mettere sotto vuoto in un angolino del mio cervello, certo che da li a qualche ora, una volta solo, sarebbe scattata la fase due: quella analitico-esistenziale. Il bello dei posti di mare è che c’è sempre un porto, un attracco, un punto in cui prima o poi arriva qualcuno. Cosi, passeggiando lungo la marina, una musica dal ritmo africano si impadronisce della nostra attenzione. Da un grande catamarano che procede con il motore al minimo, si odono voci festanti che annunciano l’ingresso nel porticciolo. Il suono ha un magnetismo quasi rituale, qualcosa di ancestrale che attrae come una calamita. Spinti dalla curiosità ci avviciniamo allo scafo, ma ancor prima di renderci conto gli occhi ci bloccano le gambe. L’equipaggio sbarca e con loro anche la preda appena pescata. Si tratta di uno squalo martello di 2 metri e mezzo, che una volta appeso per le operazioni di pesatura riveste di rosso il basalto della banchina. Non avevamo mai visto cosi da vicino uno squalo e per giunta sanguinante. Anche privo di vita, questo straordinario pesce incute rispetto. Le operazioni che seguano catalizzano la nostra attenzione e ci facciamo trasportare dal rituale che i pescatori lasciano fare ai più giovani della spedizione. Il pesce viene trainato a mano lungo la banchina, attraverso le acque basse della spiaggetta, fino ad arrivare alle bancarelle del pesce, favorendo la creazione di un corteo spontaneo di curiosi alle prese con video e foto. Durante il passaggio ci rendiamo conto che l’inattesa processione non ha per niente disturbato un gruppetto di surfisti in erba, intenti a scivolare sulla patina di acqua che si distende lungo la battigia come in una sorta di esibizione. La loro espressività e cosi viva che mi risulta facile accostarli ad una forma di libertà gioiosa e spensierata che va in contrasto con quella libertà che i pescatori avevano definitivamente tolto allo sfortunato squalo martello, normalmente in cima alla catena alimentare e sicuramente l’unico pesce a non dover temere potenziali repressioni o dittature. Soddisfatti del tanto bel vedere riprendiamo la strada del ritorno. Pochi chilometri e il nostro autista di religione indù fervente devoto di Ganesh, ci ferma proprio dinanzi all’ingresso dell’incantevole chiesetta cristiana dal tetto rosso di Cap Malheureux. Scendiamo e non possiamo fare altro che immergerci in questo spot da cartolina, adagiato sulle rive della omonima laguna, dall’atmosfera romantica ma dal nome nefasto. Curiosando all’interno salta subito all’occhio l’addobbo floreale stile cerimonia che ci fa comprendere che di li a qualche minuto si sarebbe celebrato un matrimonio. Trascorrono solo pochi secondi e dinanzi a noi si presenta il parroco della chiesetta già pronto per celebrare messa. Scambiamo subito qualche chiacchiera di circostanza grazie alle quali scopriamo che l’arzillo presule è stato cinque anni in Vaticano e che la chiesetta è tra le più fotografate al mondo. Di certo è uno dei posti più romantici per dirsi si. Stanchi ma soddisfatti torniamo nelle tranquille e ormai familiari stanze del nostro resort certi di aver vissuto dai gran bei momenti. Un certo languorino ci spinge ad anticipare l’orario della cena e cosi ci presentiamo al cospetto dell’executive chef Bruno decisi a fare faville. Ad attenderci al varco troviamo una gradita sorpresa. Il bucaniere Gaia ci offre un gustoso aperitivo accompagnato da un piatto di ostriche appena pescate. Semplicemente deliziose. Una volta dentro troviamo un autentico trionfo di prelibatezze di mare al sapore creolo e, pur consapevoli delle inevitabili penitenze future, decidiamo di mandare all’aria il piano dieta e gustare tutto quanto la cucina fusion di Monsieur Bruno è capace di offrire. Detto tra noi, la trasgressione è durata, più o meno con pentimenti immediati, ben due settimane… Ancora qualche giornata di mare accarezzati dai caldi alisei di nord est, decisamente più docili di quelli provenienti da sud est, e poi salto all’isola dei cervi. L’escursione con Samuel è un must e il posto è davvero carino, anche se abbastanza simile ad un atollo maldiviano da noi già abbondantemente metabolizzato. Di sicuro merita l’aragosta con le salsine creole cucinata live dal mauriziano di origine somala che è stato cuoco nella nostra Salina per quasi un lustro. In serata con la complicità della luce lunare, approfittiamo per fare un bagno nella piscina riscaldata: un'autentica figata. Le giornate a seguire scivolano dolcemente all'insegna della tranquillità interrotta solo da una puntatina a sud, con destinazione lago sacro, che con il suo tempio indù ci proietta nella spiritualità dell’India più profonda che a Mauritius è presente nelle persone e nelle forme, e a Chamarel, con le sue terre colorate e le cascate alte 90 metri. La sera, grazie agli spettacoli di qualità proposti dallo staff, abbiamo l'opportunità di assistere ad esibizioni di autentica danza creola, dove l'armonia dei movimenti orinetali si sposa alla perfezione con l'energia tribale dell'Africa nera, e finanche di ascoltare un buon jazz che anche a queste latitudini è sempre apprezzato, sorseggiando un ottimo rum, capace di farti sentire ad occhi chiusi tutti i sapori di questa magnifica terra. E cosi, consapevoli di quanto avremmo trovato una volta ritornati a casa, non abbiamo voluto rinunciare ai piaceri del corpo e dei sensi offerti dalla spa, che con il suo personale altamente qualificato è in grado di offrire un servizio professionale e straordinariamente cortese. Del resto, l’occasione di farsi massaggiare dalla testa ai piedi e di ricevere un massaggio decontratturante per alleviare i dolori della cervicale, andava sfruttata in tutta la sua interezza. Insomma, aver vissuto due settimane in questa meravigliosa struttura, resa ancor più speciale dal gusto raffinato e moderno del responsabile innovazione Valtur Paolo Doragrossa, adagiato su questo autentico paradiso in terra ci ha restituito serenità ed armonia, quella stessa che si percepisce nelle persone e negli elementi che si fondono per dar vita a questo piccolo, incantevole mondo. Ancora una volta, non possiamo fare altro che constatare che la dritta di Paolo Giannini in fase di prenotazione ha colto nel segno. Mauritius, un tempo crocevia di mercanzie umane, è oggi sospeso tra passato e presente. Un luogo dove il corpo, ma soprattutto l'anima dei viaggiatori in cerca di se stessi, hanno trovato un inaspettato ristoro..
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