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Trent'anni dalla morte di Aldo Moro

Riflessioni politiche su ciò che poteva essere e non è stato
10/3/2008 11:42

Richiamare alla mente il disegno di Aldo Moro di dare all'Italia una democrazia compiuta, che non era rinunciare alla propria identità, significa ricordare che la democrazia, in effetti, non c'è mai stata. Si tratta di un difetto fondativo, richiamato da Mazzini, che non è mai stato sanato.
Se in Italia vi è un insieme di persone che ne segnano i destini e che non hanno partecipato alla stesura della Carta Costituzionale, la partecipazione solo di una minoranza al farsi della società italiana risale al Risorgimento, opera elitaria a responsabilità limitata di una borghesia settentrionale che ha inteso consolidare ed estendere la propria posizione predominante. La dicotomia tra il partito comunista ed il popolarismo cattolico fu all'inizio quasi un dialogo a distanza contrapposto agli interessi prevalenti del rinascente liberalismo monocratico del primo novecento. Questo dialogo a distanza era favorito dall'eredità lasciata dal fascismo e dalla guerra. Può anche dirsi dalla vaga memoria di quello che era stato il primo tentativo di introduzione delle masse alla vita politica del paese, bruscamente interrotto dalla prima guerra mondiale e poi dalla marcia su Roma. Togliatti, uomo capace di trattenere, nelle ancora incerte condizioni di vita seguite all'attentato, lo slancio irrazionale rivoluzionario, aveva intuito e proponeva l'unione con le masse cattoliche, ancora nel 1964, perché vedeva in essa la possibilità di una catarsi della nazione, di una fondazione che non era mai avvenuta. Questa urgenza si ripresentava alla mente di Aldo Moro in un contesto diverso, nel quale erano maturate due condizioni favorevoli, da una parte la crisi latente del monolitismo dell'Internazionale Comunista, dall'altra il maturare nella maggioranza della gerarchia cattolica di una convinta adesione a questa urgenza. I mandanti dell'assassinio non furono certo gli esecutori e furono certo spinti dai privilegi e dalle preclusioni che volevano conservare - ed hanno poi conservato- in politica interna ed in politica estera. La conservazione vedeva non solo lui ma anche Paolo VI come fumo negli occhi. La sua morte fu anche l'inizio di quella rivoluzione giustizialista che ha proiettato alla ribalta, nel vuoto politico generato, Berlusconi. La Sinistra italiana ha avuto il torto di non aver mai capito che la rivoluzione passa attraverso la conservazione ed un'amministrazione efficiente e corretta, purificata dal malcostume, attraverso la solidità delle istituzioni. Oppure non le è convenuto capirlo. La crisi politica e sociale ha accelerato il degrado del Meridione ed il passaggio del suo governo alla malavita. Non pare che un uomo che privilegia l'interesse personale, che impone di legiferare a suo favore, possa proporsi di liberare il Meridione e di rifondare Napoli e la Campania. Tanto meno i suoi alleati. Eppure sarà proprio Berlusconi a vincere le elezioni. L'hanno voluto i liberalradicalisocialisti che hanno scollato il consenso attorno all'Unione portandola al pareggio del 2006, sgretolando l'ampio margine che superava il 10%. Così l'avranno voluta i partiti della Sinistra Arcobaleno e Bertinotti che, da lontano, hanno lavorato allo sfascio. Quì, in Campania, neanche essi si affermeranno. La sconfitta del PD e dell'Arcobaleno dovrebbe risentire della permanenza al governo della regione di un uomo sottoposto a processo, ma da tempo riportato come iniquo nei discorsi e nella convinzioni dei napoletani insieme con il suo staff.
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