Sparanise, di Ilario Capanna – Approfittando della meravigliosa giornata di sole e del tradizionale esodo di Pasquetta, stamattina ho scelto di rimanere nella mia cittadina. Intorno alle 11,00 ho inforcato la bici e, come ho fatto migliaia di altre volte, ho iniziato a pedalare in lungo ed in largo per le strade di Sparanise.
Per chi non lo sapesse, Sparanise è il lungo in cui sono nato e cresciuto, ho famiglia e lavoro e dove nel corso degli ultimi due decenni, tanti eventi e momenti di aggregazione ho organizzato.
Dunque io amo profondamente la mia cittadina, autenticamente meridionale e squisitamente provinciale. Questa insolita dichiarazione d’amore, a quei pochi che mi conoscono un po’ di più, potrebbe apparire come antropologicamente inconciliabile con l’altra caratteristica che mi contraddistingue. Io sono un viaggiatore. Esterofilo e convinto globalista con l’aggravante di essere costantemente affascinato da tutto quanto è novità, futuro e qualità della vita. La premessa non è un momento di autocelebrazione ma un inciso necessario, e più avanti capirete perché.
Ora, e vengo alla ciccia, io ho quasi 52 anni ed ho la presunzione di conoscere, come pochi altri, il luogo in cui, come spiegavo qualche riga più su, sono nato e cresciuto e che, da modesto giornalista di provincia, provo a raccontare da più di un quarto di secolo.
Pertanto, ribadisco senza presunzione, per quanto sopra esposto, questo fa di me un soggetto abilitato a parlare, con cognizione di causa, della mia Sparanise.
La scelta della bici come strumento di racconto è più che mai azzeccata perché scandisce un tempo che ben si concilia con l’assimilazione di ciò che si vede ed il confronto con quanto torna in mente dal passato. E’ tutta una questione di velocità. Velocità e memoria visiva che si susseguano come in un videoclip con realtà aumentata. Il resto, tutto il resto, lo fa la coscienza critica.
Dunque il concetto che esprimo in sintesi è il seguente. E’ come se Sparanise fosse diventata, nel breve volgere di poco più di un lustro, una cittadina del Trentino… ma senza trentini. Ok, sembra un ossimoro quindi proviamo a riavvolgere il nastro.
Con la certezza matematica dei miei quasi 52 anni, posso serenamente affermare che la mia cittadina non è mai stata più umanamente vivibile, più civicamente organizzata e più naturalmente colorata di come si è presentata ai miei occhi questa mattina. E’ come se in poco più di un lustro, un tempo piccolo per la pachidermica lentezza della cosa pubblica, si fosse condensata la concretizzazione di quel desiderio di cambiamento atteso per decenni.
E a questo punto mi viene spontanea una considerazione: il cambiamento non sarà stato troppo veloce?
Qualcosa mi fa pensare che non tutti gli sparanisani abbiano assimilato e metabolizzato la positiva metamorfosi della città. Una sorta di riassetto verso l’ideale equilibrio civico ai più poco noto forse proprio a causa della mancanza di adeguati riferimenti storici.
Viceversa, ciò che emerge non può sfuggire, come dicevo pocanzi, al viaggiatore costantemente impegnato a creare parallelismi tra i luoghi visitati del presente e quelli vissuti e riferiti alle proprie radici.
Penso questo perché nelle ultime settimane non ho registrato l’auspicabile risposta indignata al tentativo di sporcare e provare a cancellare quanto accaduto negli ultimi 5 anni!
E allora forse è il caso di proseguire nel racconto di quanto ho visto stamattina per contribuire a chiarirvi le idee.
La periferia, che evidentemente conosco con cognizione di causa, non può più essere definita come il luogo in cui la civiltà è distante. Strade asfaltate, decoro e arredi urbani, toponomastica e numeri civici (si anche quelli, perché prima le abitazioni ne erano prive, come se la lontananza dal centro città escludesse il diritto di cittadinanza anagrafica ), pubblica illuminazione, interventi strutturali sui servizi essenziali e di manutenzione ordinaria impeccabili e puntuali hanno, di fatto, cancellato il gap.
Con onestà intellettuale posso serenamente affermare, fatti alla mano, che Sparanise è città al centro anche oltre la piazza.
Cosi, nel mio lento girovagare, non ho potuto fare a meno di notare che lo spostamento sulle due ruote proseguisse morbido e lineare perché le strade, tutte le strade, dalla periferia al centro, sono asfaltate e prive di buche. Ci sono dossi posizionati nei punti giusti, marciapiedi ben tenuti, segnaletica corretta e aiuole spartitraffico curate e piene di verde. E poi telecamere, tante telecamere a testimonianza di un sistema di video sorveglianza capillare e ben distribuito su tutto il territorio comunale.
Arrivato a piazzetta Santa Caterina mi trovo ad un bivio. Girandomi verso la stazione mi torna in mente il ricordo dei 60 e passa anni di acqua alta e dell’angoscia dei residenti, per fortuna ormai solo un ricordo, mente girandomi verso corso Matteotti non posso fare a meno di notare gli alberi. Il colore. Che bel colpo d’occhio!
Pedalando piano mi sembra di fare un viaggio nel tempo e nella personale realtà aumentata appare la mia adolescenza, quando il corso era il centro della vita sociale ed economica di Sparanise.
Oggi, al netto delle luci a led e dell’asfalto stampato che richiama le pietre basaltiche, della vivacità del passato non vi è più traccia ed il presente, fatta salva la caparbietà di qualche esercente che eroicamente resiste, è l’espressione di una realtà alquanto scadente. Ma questo è un aspetto sostanzialmente riconducibile alle mutate abitudini dei giovani sparanisani.
Arrivo quindi in piazza, nella Sparanise down town. Carina, ben tenuta, finanche colorata e con delle comode ed eleganti sedute in marmo con la fontana Beatrice immobile nella sua fissità che si perde nei secoli recenti.
Giro a destra e mi dirigo verso l’ufficio postale. Manto stradale ok, villetta ben tenuta e funzionale, tutto in ordine. Scendo per via Palumbo fino al quadrivio con via De Gasperi e via Ragozzino.
Qui mi fermo e mi abbandono ai ricordi. L’edificio “Solimene” che ospita la scuola elementare fino a qualche anno fa circondato da un muretto con inferriata che ne faceva una sorta di monolite isolato dal contesto circostante, con tanto di limite invalicabile, nel quale da bambino facevo sfide di corsa rigorosamente prima e dopo la scuola, è stato aperto al mondo per trasformarsi in una bella villetta con tanto di parco giochi per bambini e display pubblico che comunica alla cittadinanza anche i dati sulla qualità dell’aria. Un bell’esempio di apertura e di riutilizzo degli spazi.
Che bella cosa la civiltà.
Riparto e mi lascio trasportare dalla dolce discesa di via De Gasperi. Anche qui dossi in prossimità delle scuole, alberi ai lati, marciapiedi nuovi ed asfalto impeccabile. Giro a destra e mi dirigo verso la villetta di via Marinelli. Ora, non so voi, ma io in questo posto ci ho buttato il sangue con infinite partite di pallone prima che potesse diventare un luogo di aggregazione moderno.
Oggi, con il playground colorato, il chioschetto, il parco giochi per i più piccoli ed il verde ben curato sembra un angolo di Rovereto, città che ho visitato 1 anno e mezzo fa… e cosi il Trentino ritorna prepotente a fare da termine di paragone!
Contento per il colpo d’occhio e la presenza di ragazzini che si sfidano in un 3 contro 3, decido di proseguire la lenta discesa. Ponte Carbonaro e poi subito a sinistra.
Qui mi fermo e vengo colpito dal verde della pista ciclabile, dallo spartitraffico con palme, piantine e sassolini bianchi. E di nuovo ritorna in mente il paragone con Cogolo di Pejo, carinissimo centro del Trentino attraversato da una bella pista ciclabile. Rido pensando ad una battuta di Checco Zalone in “Sole a catinelle” quando rivolgendosi al figlio esclama: umiltà Nicolò! Io la cambio in civiltà. Civiltà Nicolò. Civiltà! Me la godo in discesa, piano piano e penso a tutte le volte che, allenandomi lungo quella strada, ho rischiato seriamente di essere investito dalle auto in corsa.
Che bella cosa la civiltà.
Arrivo di fronte al palazzetto dello sport e freno. Qui la pausa si fa più lunga. Troppi ricordi e tante emozioni. Il palazzetto dello sport, la pallavolo, l’orgoglio di vivere in una dimensione sportiva di livello nazionale. Qualcosa di incredibile. Poi il declino, lento ed inesorabile ed oggi la riapertura e la rinascita, come quella dei campetti e dello spazio giochi per i più piccoli.
D’un tratto l’espressione si fa più amara. Mi fisso sulla piscina e mi torna in mente quando nel 1990 pensai di fare un corso per istruttore di nuoto da poter sfruttare nella piscina della mia città. Beh, di anni ne sono passati 32 e da allora, come viaggiatore, ho avuto la fortuna di tuffarmi in tutti i mari e le piscine di quattro continenti.
Tranne in quella della mia città. Eppure sembra proprio che presto, a Dio piacendo, riuscirò nell’impresa. I lavori di ultimazione della piscina sono iniziati e presto potrebbero regalare a questo angolo di mondo il suo rettangolino balneabile nel quale tuffarsi magari dopo una partita a padel visto che sono iniziati i lavori di costruzione di un bel campo di ultima generazione.
Prima di girare a sinistra non posso fare a meno di notare che anche qui c’è una stazione dotata di defibrillatore che avevo già notato in un altro luogo lungo il percorso. Chiudo gli occhi e mi torna in mente il Trentino con le sue città cardio protette.
Che bella cosa la civiltà.
Proseguo e decido di fare un giro nella villetta. La conosco bene, visto che ci ho portato a giocare i miei figli per qualche anno. Ma non era affatto cosi. Adesso: wow! Pista skate park, giochi funzionanti e addirittura un’area destinata ai cani.
Confesso lo stupore: ne avevo letto da qualche parte ma non ero mai stato di persona. Tuttavia, mi ricordo dove ne ho già vista una: a Rovereto… in Trentino, naturalmente!
Che bella cosa la civiltà.
Me rimetto in sella e torno a casa. Mentre pedalo però, lentamente un sentimento di rabbia e di indignazione si impadronisce di me. Rifletto e tra me e me dico: porca miseria, è Sparanise, ma sembra di essere in Trentino eppure qualcuno fa di tutto per fermare la civiltà.
Che bella cosa la civiltà? Si, ma quanto è costata al mio amico Salvatore Matiello?
Allora da viaggiatore, da cronista e da sparanisano che mensilmente gira l’Italia per impegni lavorativi e sportivi mi chiedo perché chi è stato l’indiscusso protagonista di questo straordinario cambiamento, che in passato ho definito come una sorta di Rinascimento Sparanisano, debba pagare le pene dell’inferno?
Cosa c’è dietro gli attacchi che da cinque anni a questa parte Salvatore Martiello subisce come sindaco di Sparanise?
Possibile che la somatizzazione di una sconfitta elettorale possa, da sola, spingere taluni a voler distruggere tutto quanto di buono è stato creato solo perché incapaci di elaborare ciò che il popolo ha urlato a gran voce?
Possibile che si arrivi ad usare una presunta sete di giustizia come arma giustizialista da blandire contro i propri avversari politici fino ad arrivare a colpirne la propria libertà personale?
E’ umanamente e civilmente sopportabile subire il costante sabotaggio di azioni che, come dimostra il mio giro in bici, sono storicamente andate a vantaggio della collettività?
Che bella cosa la civiltà?
D’accordo ma quanto è costata questa civiltà all’uomo Salvatore Martiello?
Francamente e senza retorica, credo che noi abbiamo il dovere morale di indignarci e di provare in qualche modo a proteggere il nostro Rinascimento Sparanisano.
Noi abbiamo il dovere morale di provare a far capire agli altri ciò che è sotto i nostri occhi perché una volta replicato il Trentino, dovremmo provare a fare i trentini ed impedire il ritorno al medioevo…
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