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I profumi della Pasqua gastronomica inebriano il sabato sparanisano

Antiche ricette e nobili rituali: è l’ora dei cibi pasquali
20/4/2019 11:21

Sparanise - La Settimana Santa degli sparanisani, come la totalità dei cristiani cattolici, è, da diversi secoli, caratterizzata da fioretti e penitenze devozionali che trovano il loro culmine liberatorio nella giornata di Pasqua. Ma in terra calena oltre alla componente religiosa c’è un‘altra attività che desta grande interesse e partecipazione: la gastronomia pasquale. Lasagne, Agnello con patate, Minestra maritata, frittata di Pasqua, “tortano” di Pasqua, Pigna e Pastiera. Le cucine ed i forni sono in queste ore a pieno ritmo e l’arte culinaria della mamme sparanisane, che si tramanda con certosina precisione da generazione in generazione, esalta la nostra cucina povera e legata alla terra, che in realtà poi tanto povera non è, facendo librare nell’aria un festival di odori inconfondibili ai quali nessuno, ma soprattutto gli sparanisani residenti altrove che rientrano alla base proprio in occasione delle festività, vuole rinunciare. Ecco una breve carrellata gastronomica che allieterà le tavole nelle prossime ore. Si parte dall’uovo, che è il cibo pasquale per antonomasia. Ce ne sono di diversi tipi: c’è quello di cioccolato, classico, ma c’è anche quello decorato, che accompagna le croci di pane di cui parleremo più avanti. Ma soprattutto l’uovo è l’ingrediente principe di tutta la gastronomia pasquale. Di solito all’uovo di produzione industriale viene associata anche la colomba confezionata, artigianale e non. Poi c’è la pastiera con le sue numerose versioni. Queste le più in voga: con grano e crema, riso e crema, ricotta e grano, semola, crema ricotta e grano. Resta inteso che il grano in oggetto è quella che gli sparanisani chiamano “a saraoglia” un particolare tipo di grano saraceno duro. La pastiera, nel rispetto della tradizione si prepara già a partire da Mercoledì Santo, quando si inizia a “spugnare” il grano in acqua tiepida fino al venerdì. Una volta mondato e pulito viene riposto in un recipiente e messo a bollire con un pizzico di sale. Dopo la cottura viene riposto in un altro recipiente dove verrà fatto raffreddare avendo cura di coprirlo con un panno di tela in modo da non farne evaporare del tutto gli umori. Si arriva cosi fino al sabato mattina, quando cioè ha inizio la preparazione della pastiera. Questi gli ingredienti per 10 persone: 1 kg di grano; 1 kg di ricotta di vacca; 13 uova intere; 800 grammi di zucchero; 150 grammi di cedro; anice; rhum e vaniglia. Si stempera la ricotta unita al grano ed allo zucchero e si amalgama con le uova. Il composto si mescola ripetutamente fino a quando la ricotta, le uova e lo zucchero non siano ben sciolte. Alla fine si aggiungono gli aromi ed il cedro a dadino. Il composto cosi ottenuto si versa in un “ruoto” abbastanza alto precedentemente unto con la “n’zogna” e foderato con uno strato di pasta sfoglia. A conclusione delle operazioni, il ruoto si guarnisce con una serie di “ziarelle” opportunamente tagliate con il “ventaruolo” . Conclusa l’operazione, il preparato si inforna nel forno già sufficientemente caldo avendo però l’accortezza di coprire il ruoto con un foglio di carta bagnata per preservarne la doratura. La fragranza ed il sapore fanno della pastiera un dolce unico ed inconfondibile. Proseguendo con le prelibatezze pasquali arriviamo alla “pigna cresciuta” un dolce che per la sua lunga preparazione può essere purtroppo considerato in via di estinzione. Ancora andiamo avanti con la pigna, altro grande classico, fatta con cremore e bicarbonato sia nella versione tradizionale che elaborata con copertura di “riauligli”. Poi c’è il pane. Dalla tipica forma a croce e con le uova, (come accennavamo sopra) anche in versione “manella” o cucariegliu” appannaggio dei più piccoli, non può mancare sulla tavola di Pasqua, quando, a famiglia riunita, il più anziano, armato di palma (rigorosamente benedetta la domenica delle Palme precedente) ed acquasanta, procede con la benedizione. Alzi la mano chi non è mai scoppiato a ridere quando veniva abbondantemente colpito dagli schizzi di acqua santa… Passiamo ad un altro must irrinunciabile: “A frittata e Pasqua”. Quella classica è composta con 33 uova, salsiccia (e’ composta) , formaggio fresco (ma non troppo) assolutamente non salato, asparagi ben selezionati dal “mattolo” (mitici quelli di “ n’copp ò monte e l’acqua vivula” raccolti e venduti nell’angolo tra via De Gasperi e via D’Acquisto dal mitico Alfredo Arciero) e soprattutto l’inebriante “nepetella”. Dulcis in fundo: “a mnestra ‘e Pasqua”. Gli ingredienti sono: scarurelle, borraccelle, cicorielle, cappucce, tornelle e verze. Opportunamente “ammiscate” con le parti povere del maiale precedentemente tenute sotto sale. Agguantato un bell’osso di prosciutto non del tutto spolpato, in un capace “tiano” di coccio si mette a bollire insieme a salsicce di interiora (pulmone, e carn ‘e capu), orecchie, lingua, coda e piedi, con aggiunta di pepe in grani. Il pepe macinato di fresco verrà aggiunto poi abbondante direttamente nel piatto, dove la forchetta infilzerà i ciuffi delle verdure e i pezzi di carne intrisi di brodo grasso colante. Il tutto corroborato da “Agnello o capretto di pasqua” con la mitica “capuzzella” con patate o senza, preceduta da “lasagna cu ragù” rigorosamente fatta in casa. Resta inteso che gli avanzi, qualora non si riuscisse a consumare tutto nella giornata di domenica, vanno per tradizione consumati il lunedì di pasquetta all’ombra di un ulivo durante l’irrinunciabile gita fuori porta.
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