Sparanise – Una delle più antiche usanze del popolo romano, di consuetudine tra il XVI ed il XVIII secolo, prevedeva che i genitori conducessero i propri figli ad assistere alle esecuzioni capitali. Appena dopo la decapitazione, i genitori erano soliti colpire i figli con un sonoro schiaffone affinché potessero ricordarsi per tutto il resto della loro vita quale fine attendesse un brigante, un delinquente o un malfattore giudicato colpevole.
La fiaccolata di ieri sera, con la quale gli sparanisani hanno voluto urlare usando un assordante silenzio squarciato solo dal bagliore delle centinaia di candele accese, altro non è che la più spontanea manifestazione di civiltà che a memoria d’uomo si possa ricordare a Sparanise. E come a voler stabilire un legame antico con la storia, esattamente come nella Roma papalina, anche ieri sera centinaia di genitori hanno voluto portare i propri figli affinché capissero, con la forza del silenzio e della profonda riflessione, cosa bisogna e cosa, invece, non bisogna diventare. Quanto avvenuto ieri sera per le strade di Sparanise e poi ancora in piazza Giovanni XXIII, deve essere da monito alle generazioni che si affacciano alla vita a volte con piglio troppo spavaldo, affinché comprendano a pieno quanto dolore si possa provare quando il senno, la ragione, l’umanità e l’amore cedono il passo agli istinti più primordiali. Se di evoluzione del genere umano bisogna parlare, allora vale la pena soffermarsi sugli sguardi, sulle espressioni tormentate e indignate di adulti e ragazzi che a testa alta, illuminati dalla flebile luce della speranza, hanno disegnato con i caldi colori del fuoco, una tela che parla molto di futuro e tanto di dignità. Sotto l’aspetto sociologico, questo evento cosi tragico ha avuto la forza di mettere insieme la parte sana della società che ha avuto il coraggio di uscire dal proprio fortino di menefreghismo, di aprire un varco e di andare oltre quel muro di omertà e di silenzio. Mai come prima di ieri, il popolo di Sparanise ha voluto marciare, unito e compatto, senza urlare slogan e senza sventolare bandiere, per riappropriarsi di quel bisogno assoluto che risponde alla parola più bella che si possa pronunziare: libertà! Essere liberi di poter dire basta alla violenza in quella che rimane pur sempre la martoriata terra di Camorra. Essere liberi di pretendere una quotidianità normale, per sé stessi e per i figli di questa città, che nel passato tanto sangue ha visto versare a causa della barbarie nazista e che oggi, per il coraggio dimostrato, è elevata a rango di città ed ha ottenuto la massima onorificenza per meriti civili dalla Repubblica Italiana. Essere liberi di poter sognare un futuro da vivere senza paura ed a misura più umana, dove non ci deve essere più spazio per la violenza, la prevaricazione, al vendetta, l’odio, il rancore e ancor peggio per l’imitazione di punti di riferimento negativi. Certo, è un primo passo, ma ogni viaggio, anche quello più lungo, inizia con il primo passo e se il popolo di Sparanise è riuscito a canalizzare la rabbia facendola confluire tutta nel solco di una forma di protesta civile e garbata, vuol dire che si è accesa la speranza. E la speranza va accolta con entusiasmo, sempre e comunque. Ora sappiamo che c’è speranza per chi, se lo vorrà, potrà avere il tempo di redimersi e c’è speranza per chi lotta come un leone in un letto d’ospedale, in attesa che la città di Sparanise possa finalmente riabbracciarlo. Forza Sparanise, tutti assiem cià putemm fa!
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